Esserci. Insieme.

“un’ora di lezione può sempre aprire un mondo,
può sempre essere il tempo di un vero incontro”
Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi.

Non è facile la professione dell’insegnante. Non lo è perché è una sfida continua. Non lo è perché si deve essere sempre disposti al cambiamento, ad ampio raggio. Cambiamento di prospettive per incontrare i “nuovi barbari1”: siano essi nativi digitali o portatori di diversità – cognitiva, culturale, generazionale, religiosa, ecc… – cui non siamo soliti rapportarci. Non lo è perché il clima culturale non è dei più favorevoli, anzi si è fatto di tutto, in questi ultimi anni, per screditarci come categoria e come persone. Non lo è perché, chiamatela come volete: razionalizzazione, spending review… si tratta sempre di lavorare di più con meno risorse. Non lo è perché insegnare religione cattolica in diciotto classi, a centinaia di alunni/e, è come salire su una giostra all’inizio dell’anno scolastico, ne scendi alla fine e ti gira la testa. E comunque sono sempre qui, oserei dire, dopo quello che ho premesso, in “direzione ostinata e contraria2”. Ostinatamente contrario a che cosa? Lo psicoterapeuta Massimo Recalcati è convinto che:

“nel nostro tempo la Scuola non è più un’istituzione disciplinare, ma un’istituzione di resistenza all’indisciplina dell’iperedonismo acefalo che governa la nostra società3”.

Una frase attribuita a sant’Agostino, che mi ha sempre colpito, recita:

“La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Il primo di fronte a come vanno le cose, il secondo per cambiarle“.

Si perché insegnare è credere, nonostante tutto, nella speranza. Speranza che non chiude gli occhi davanti al reale, ai problemi che ci sono, ma li sa guardare in faccia e prospettare, a volte anche con coraggio, soluzioni che vanno oltre, che sappiano vedere lontano. Speranza di poter lasciare un’impronta, un segno, nell’allievo/a: è questo l’etimo del verbo insegnare. Speranza che la scuola sia ancora ciò che salvaguarda l’umano, l’incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte intellettuali.

Nella sua prima udienza generale del 27 marzo 2013, Papa Francesco, utilizzò un’immagine più volte ripresa, quella dei cristiani che vanno verso le periferie4. Mi piace leggere la professione dell’insegnante di religione in questa prospettiva. Mi chiedo: “Qual è, per noi insegnanti di religione, la nostra periferia?” L’aula scolastica, l’incontro quotidiano con storie di difficoltà, di alunni/e che vivono situazioni più grandi di loro, rispetto alle quali spesso non hanno nemmeno gli strumenti per codificarle e affrontarle. Sono loro

“i nostri fratelli e le nostre sorelle, quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto”.

Lì, in aula, ma anche nelle sedi collegiali, consigli di classe, collegi dei docenti, negli incontri con i genitori ecc…, siamo chiamati a testimoniare concretamente lo sdegno, il coraggio dunque la speranza di cui parlavo.

Periferia, periferie. Compito fondamentale dell’insegnante è aiutare i ragazzi/e ad aprirsi. Dal loro “mondo” al “mondo”. Aiutarli a collegare il loro orizzonte di esperienza, le loro conoscenze con le periferie del mondo e della storia che nel nostro pianeta globalizzato sono molto più vicine a noi di quanto non pensiamo. Insegnante di religione. Religione: legare insieme. Unire, collegare, andare oltre e leggere questa nostra storia, questo nostro mondo, i nostri mondi, anche quelli virtuali che si incontrano sui social network, le periferie di cui parlavo, con un orizzonte di senso che offra luce nuova. Julia Kristeva dopo i tragici fatti di Parigi (13 novembre 2015), uno degli innumerevoli drammi di cui siamo spettatori in quella che Papa Francesco chiama “guerra mondiale a pezzi”, ha scritto:

“Dobbiamo rivalutare il patrimonio religioso, insegnarlo nelle scuole, non per inculcare la religione, ma per interrogarla5”.

Si, un patrimonio, una ricchezza da interpellare per offrire senso e speranza.
Le nostre classi sono un microcosmo, lo specchio della società in cui viviamo con le sue diversità culturali, etniche, religiose. Le diversità non so se si possano definire buone o cattive. Sono. Sono sempre esistite, sempre esisteranno. È con il dialogo culturale, ecumenico, interreligioso, ma anche intergenerazionale che l’insegnante di religione cattolica può offrire modelli di comprensione e di relazione positivi e costruttivi. Di fronte alle angosciose notizie di cronaca che quotidianamente i media riportano, alla tentazione di chiusure politiche, economiche, di frontiere ma anche culturali e religiose che si riflettono pure (purtroppo) nelle nostre scuole continuiamo a coltivare l’arte di saper “guardare”. Impariamo noi, insieme ai nostri alunni a guardare e ascoltare il mondo in cui viviamo, la sua magia, la sua bellezza che ci restituisce un senso più ricco e profondo così come in questo racconto di Eduardo Galeano, un padre, un figlio.

«Diego non conosceva il mare. Suo padre, Santiago Kovadloff, lo condusse a scoprirlo.
Se ne andarono al sud.
Il mare stava al di là delle alte dune, in attesa.
Quando padre e figlio, dopo un lungo cammino, raggiunsero finalmente quei culmini di sabbia, il mare esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta l’immensità del mare, e tanto il suo fulgore, che il bimbo restò muto di bellezza.
E quando alla fine riuscì a parlare, tremando, balbettando, chiese a suo padre:
– Aiutami a guardare!6»

Antonio Ariberti – www.ariberti.it


L’articolo su Il Mosaico

il mosaico Gennaio 2016 articolo Antonio Ariberti


Note

  1. Espressione e concetto mutuato da Alessandro Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, ed. Feltrinelli.
  2. Titolo dell’antologia ufficiale postuma di Fabrizio De André uscita nel novembre del 2005.
  3. Massimo Recalcati, L’ora di lezione – Per un’erotica dell’insegnamento, 2014, eBook, ed. Einaudi, p. 48.
  4. “[…] questa è anche la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore; vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi – come dicevo domenica scorsa – per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!”
    http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2013/documents/papa-francesco_20130327_udienza-generale.html
  5. Julia Kristeva, Non lasciamo religione e spiritualità in mano ai terroristi
    http://www.vita.it/it/article/2015/11/18/julia-kristeva-non-lasciamo-religione-e-spiritualita-in-mano-ai-terror/137434/
    http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2015/11/17/julia-kristeva-i-giovani-jihadisti-sono-dei-malati-intossicati-dallintegralismo/
  6. Eduardo Galeano, Il libro degli abbracci, Sperling&Kupfer.

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