Bianchi Enzo, E’ compiuto!

E’ compiuto!

 

Antonello da Messina, Cristo alla colonna, Parigi, Louvre

Venerdì santo, 3 aprile 2015
Gv 18,1-19,37
Commento al Vangelo di Enzo Bianchi


 

Il Vangelo

Giovanni 18,1-19,37
18,1 Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 2 Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 3 Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 4 Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5 Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 6 Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7 Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8 Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». 9 Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10 Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11 Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?».
12 Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono 13 e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno. 14 Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo».
15 Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; 16 Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. 17 E la giovane portinaia disse a Pietro: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18 Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
19 Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. 20 Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21 Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22 Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23 Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24 Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote.
25 Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26 Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27 Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
28 Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29 Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30 Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31 Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32 Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.
33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34 Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35 Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38 Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. 39 Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». 40 Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

19,1 Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2 E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: 3 «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 4 Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». 5 Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 6 Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». 7 Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
8 All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura 9 ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10 Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11 Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».
12 Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». 13 Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14 Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15 Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». 16 Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
17 Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, 18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. 19 Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20 Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21 I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». 22 Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto».
23 I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24 Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:
Si son divise tra loro le mie vesti
e sulla mia tunica han gettato la sorte.
E i soldati fecero proprio così.
25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». 29 Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 32 Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. 33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
35 Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36 Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37 E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

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Il commento di Enzo Bianchi

Diego Velázquez, Cristo in croce, 1631, Madrid, Museo del Prado
Diego Velázquez, Cristo in croce, 1631, Madrid, Museo del Prado

Cari amici,

abbiamo ascoltato il racconto della passione di Gesù nel quarto vangelo, abbiamo potuto contemplare quello “spettacolo” che Luca chiama theoría (Lc 23,48), spettacolo di gloria, epifania della gloria di Dio. Ora non posiamo certo commentare e neppure glossare questo lungo racconto, ma possiamo sostare almeno su una parola di Gesù: l’ultima, secondo Giovanni, da lui detta prima di morire. È una parola unica e breve: “Tetélestai, è compiuto!” (Gv 19,30), parola che permette a Gesù di reclinare finalmente il capo e di consegnare lo Spirito.

Nel quarto vangelo ci sono due verbi che hanno quasi lo stesso significato: teléo/teleióo e pleróo, entrambi tradotti in italiano con “compiere”, entrambi applicati nei vangeli alle sante Scritture, alla Parola, alla promessa del Signore. Compiere, cioè realizzare e portare a termine. Potremmo dire che sono i verbi che riassumono la vocazione-missione di Gesù dall’inizio della sua vita fino alla morte, verbi che dicono come Gesù è stato Servo del Signore, Figlio obbediente del Padre, uomo conforme alla volontà di Dio.

Fermandoci solo al quarto vangelo, notiamo che il compimento è innanzitutto un compiere azioni e gesti da parte di Gesù. In Gesù – è lui a dirlo – c’è una fame, dunque “suo cibo è fare la volontà di colui che l’ha inviato e compiere la sua opera” (cf. Gv 4,34), nella piena consapevolezza che “il Padre gli ha dato opere da compiere” (cf. Gv 5,36). È un compimento che gli viene come urgenza a partire dal proprio intimo, dalla propria coscienza, dove Gesù ascolta e discerne la parola del Padre. Non dovremmo mai dimenticare che in Gesù, ma in ogni uomo e ancor più in ogni cristiano che crede in questa voce di Dio che lo abita, c’è l’esercizio continuo e quotidiano di accogliere l’ispirazione della Parola di Dio Padre. Perché Dio è Altro da noi, è Santo, ma non può parlare né farsi sentire se non nel nostro intimo, in quel santo dei santi che sta nel nostro profondo e dal quale procedono il pensiero, il discernimento, la scelta, l’azione. Ecco perché la parola di Dio, accolta, va custodita, interpretata e realizzata fino al pieno compimento. Fino a poter dire, con Gesù: “Ho compiuto, ho portato a termine l’opera che tu, Padre, mi hai dato da fare” (cf. Gv 17,4).

Ma accanto a questo compiere la volontà del Padre, c’è anche il compiere le sante Scritture (e qui predomina il verbo pleróo). È necessario, di una necessità divina, che si realizzino le Scritture, e Gesù può solo predisporre tutto con semplicità affinché Dio operi, faccia lui, realizzi lui la Parola che aveva consegnato nella Legge, nei Profeti e nei Salmi (cf. Lc 24,44: verbo pleróo!). Soprattutto durante la passione è frequente l’espressione “affinché si compisse (hína plerothê) la Scrittura” o “la parola di Gesù”, seguita da ciò che è avvenuto. Dopo il fallimento dei segni operati da Gesù lungo tutto il suo ministero, Giovanni annota: “Nonostante avesse compiuto segni tanto grandi davanti a loro, non credevano in lui, affinché si compisse la parola detta dal profeta Isaia: ‘Signore, chi ha creduto alle cose udite da noi?’ (Is 53,1)” (Gv 12,37-38). Da quel momento tutto accade alla luce del compimento delle Scritture:

Affinché si compisse la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno” (Gv 13,18; Sal 41,10).
Affinché si compisse la Scrittura, nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione (Gv 17,12).
Affinché si compisse la parola che [Gesù] aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato” (Gv 18,9; cf. 6,39; 10,28; 17,12).
Affinché si compisse la parola che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire (Gv 18,32; cf. 12,33).
Affinché si compisse la Scrittura che dice: “Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte” (Gv 19,24; Sal 22,19).

E ciò continua addirittura dopo la morte di Gesù:

Affinché si compisse la Scrittura: “Non gli sarà spezzato alcun osso” (Es 12,46; Sal 34,21). E un altro passo della Scrittura dice ancora: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Zc 12,10) (Gv 19,36-37).

La Scrittura che contiene la parola di Dio si compie, come la pioggia che discende dal cielo non può tornare al cielo senza prima aver bagnato la terra (cf. Is 55,10); si compie perché Gesù fa tutto per assecondare questa realizzazione, a volte addirittura ritraendosi, non facendo nulla, e soprattutto rinunciando a ogni forma di volontarismo. Il rapporto tra le sante Scritture e Gesù è l’unico capace di darci la vera postura di Gesù, di farci capire il suo stile che a volte ci disturba o addirittura ci scandalizza.

Tutto questo doveva essere messo in rilievo, per poter comprendere l’ultima epifania di Gesù in croce, la sua ultima parola, la sua ultima azione. Siamo al versetto 28 del capitolo 19 del quarto vangelo,
quando Gesù è in croce in mezzo ad altri due (cf. Gv 19,18);
quando un cartello sovrastante il suo capo dice, in ebraico, greco e latino, la sua vera identità: “Gesù il Nazoreo, il Re dei giudei” (cf. Gv 19,19-20);
quando Gesù è nudo, perché spogliato, e le sue vesti vengono divise, la sua tunica tirata a sorte tra i soldati (cf. Gv 19,23-24);
quando Gesù ha affidato il discepolo amato alla madre e la madre al discepolo amato, dando generazione alla chiesa, “non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo” (Gv 1,13; cf. 19,25-27).

Allora il vangelo prosegue: “Dopo ciò, Gesù sapendo che tutto stava compiendosi, affinché si compisse la Scrittura, disse: ‘Ho sete’” (Gv 19,28). Fino all’ultimo momento il vangelo vuole dirci che Gesù non è stato trascinato alla morte, che questa non era imprevista. Gesù vuole essere fedele alla sua coscienza e alle sante Scritture, sa che c’è ancora una Scrittura che deve compiersi, e allora, puntualmente, predispone se stesso perché si compia, dicendo: “Ho sete”. Stava scritto nel salmo 69: “Nella mia sete mi fanno bere l’aceto” (v. 22), cioè – dice il salmista – nella mia sete di Dio gli uomini mi offrono da bere aceto! Ecco dunque il grido di Gesù, affinché anche quel versetto che narra la passione del giusto possa compiersi puntualmente. Tutto sta per compiersi, tutto sta per realizzarsi, Gesù lo sa e vuole, desidera che così avvenga: la sua sete è sete di vedere realizzata la volontà di Dio contenuta nelle Scritture. “Tutte le cose sono compiute” (pánta tetélestai), e “affinché si compisse la Scrittura” (hína plerothê he graphé), Gesù dice: “’Ho sete’ … E quando ebbe prese l’aceto, disse: ‘È compiuto!’ (Tetélestai). E, reclinato il capo, consegnò lo Spirito” (Gv 19,28.30).

Questa l’ultima parola di Gesù secondo Giovanni, parola significativa: è compiuto, è realizzato tutto!, dove il soggetto che tutto ha compiuto è il Padre, ma strettamente associato a Gesù. Il Padre ha compiuto, Gesù ha compiuto ciò che era desiderio del Padre. Questo è un grido di vittoria, un grido glorioso, un sigillo a tutta la sua vita. Nell’ora della passione Gesù aveva pregato: “Padre, … io ti ho glorificato sulla terra, compiendo (verbo teleióo) l’opera che mi hai dato da fare” (Gv 17,4), ed ecco venuta l’ora del compimento. Gesù può cantare: “È fatta!”. Pensateci, in quel momento al tempio, prospiciente il Golgota, c’è un lamento, un belare senza fine di agnelli sgozzati per la Pasqua, e Gesù grida: “È compiuto!”. Ecco perché, detto questo, non “spirò”, come dicono i sinottici (cf. Mc 15,37; Lc 23,46), non “morì”, come penseremmo di dover leggere, ma parédoken tò pneûma, “effuse, consegnò lo Spirito”, lo Spirito santo, il suo respiro santo, e così dà inizio alla nuova creazione, perché ormai la vecchia creazione è passata, non c’è più (cf. 2Cor 5,17)!

Cari amici, a questo punto dobbiamo dire una cosa importante. Gesù ha detto sulla croce sette parole e noi dobbiamo raccoglierle, ripeterle, e possiamo viverle. Possiamo riviverle tutte tranne una, quest’ultima: “È compiuto!”. Pensateci, quando verrà la morte non potremo mai dire: “È compiuto!”, perché ce ne dovremo andare lasciando tante cose non terminate e, soprattutto, non terminando l’opera che il Signore ci ha dato personalmente da compiere. Nella nostra professione monastica, il priore a un certo punto della liturgia dice al monaco che fa professione definitiva: “Dio porti a termine l’opera che ha iniziato in te”. Sì, Dio nel battesimo ha iniziato in ciascuno di noi un’opera, una vocazione, una missione che dobbiamo realizzare; ma – stiamone certi – non la porteremo mai a termine… Secondo la tradizione rabbinica, Dio disse a Mosè, che alla fine della vita voleva terminare l’opera di liberazione del popolo da lui affidatagli e farlo entrare nella terra promessa: “Non spetta a te compiere l’opera, ma non sei libero di sottrartene” (Pirqè Avot 2,16). Allo stesso modo, questa è anche l’obbedienza che spetta a noi: non portare a termine, non portare a compimento ciò che vorremmo e ciò che ci ha chiesto il Signore, e nello stesso tempo non sottrarcene. Questa è una rinuncia, è un accettare la morte di una parte di noi stessi, ma è ciò che dobbiamo assolutamente fare, nella fiducia che “chi ha iniziato l’opera in noi, la porterà a compimento (verbo epiteléo)” (cf. Fil 1,6), come assicura l’Apostolo Paolo.

Davvero la parola: “Tutto è compiuto!” non possiamo dirla. Lasciamo che Gesù la dica al Padre e all’universo intero per noi. Anche quest’arte del lasciare la presa fa parte del nostro stile, ma è possibile se non c’è paura e se non c’è arroganza, questi due poli tra i quali oscilliamo costantemente, incapaci come siamo di dire “no”, di combattere la paura e l’arroganza

Fonte: http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/9056-e-compiuto

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