1998 – Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah

Noi Ricordiamo

[L’Osservatore Romano, Città del Vaticano, Lunedì – Martedì 16-17- Marzo 1998, p. 1 e p. 4]

Il Documento della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo «Noi ricordiamo: una Riflessione sulla Shoah» è stato reso pubblico lunedì mattina, 16 marzo.
Nel rievocare l’«indicibile tragedia» dell’uccisione di milioni di ebrei da parte del regime nazista il Documento invita i cristiani a «riflettere sulla catastrofe che colpì il popolo ebraico» e in particolare «sull’imperativo morale di far sì che mai più l’egoismo e l’odio abbiano a crescere fino al punto da seminare sofferenze e morte». Ricordando in particolare le origini dell’antisemitismo nazista e della Shoah il Documento sottolinea che le loro radici sono «fuori del cristianesimo» e si fondano «su teorie contrarie al costante insegnamento della Chiesa». Per questo motivo la Chiesa in Germania attraverso la voce dei Cardinali Bertram e Faulhaber, condannò il «nazionalsocialismo con la sua idolatria della razza e dello Stato». Netta fu la condanna da parte di Pio Xl con l’Enciclica «Mit brennender Sorge» e dl Pio XII fin dalla sua prima Enciclica «Summi Pontificatus». Non devono essere inoltre dimenticati come sottolinea il Documento «coloro che aiutarono a salvare quanti più ebrei fu loro possibile, sino al punto di mettere le loro vite in pericolo mortale».

Qui di seguito una nostra traduzione italiana della Lettera del Santo Padre premessa al Documento.

Al Signor Cardinale
EDWARD IDRIS CASSIDY
Presidente della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo

In numerose occasioni durante il mio Pontificato ho richiamato con senso di profondo rammarico le sofferenze del popolo ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il crimine che è diventato noto come la Shoah rimane un’indelebile macchia nella storia del secolo che si sta concludendo. Preparandoci ad iniziare il terzo millennio dell’era cristiana, la Chiesa è consapevole che la gioia di un Giubileo è soprattutto una gioia fondata sul perdono dei peccati e sulla riconciliazione con Dio e con il prossimo. Perciò Essa incoraggia i suoi figli e figlie a purificare i loro cuori attraverso il pentimento per gli errori e le infedeltà del passato. Essa li chiama a mettersi umilmente di fronte a Dio e ad esaminarsi sulla responsabilità che anch’essi hanno per i mali del nostro tempo. E mia fervida speranza che il documento: Noi ricordiamo: una Riflessione sulla Shoah, che la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo ha preparato sotto la Sua guida, aiuti veramente a guarire le ferite delle incomprensioni ed ingiustizie del passato. Possa esso abilitare la memoria a svolgere il suo necessario ruolo nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile. Possa il Signore della storia guidare gli sforzi di Cattolici ed Ebrei e di tutti gli uomini e donne di buona volontà così che lavorino insieme per un mondo di autentico rispetto per la vita e la dignità di ogni essere umano, poiché tutti sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio.

Dal Vaticano, 12 marzo 1998.
Giovanni Paolo II

Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah

I. La tragedia della Shoah ed il dovere della memoria Si sta rapidamente concludendo il XX secolo e spunta ormai l’aurora di un nuovo millennio cristiano. Il Bimillenario della nascita di Gesù Cristo sollecita tutti i cristiani, e invita in realtà ogni uomo e ogni donna, a cercare di scoprire nel fluire della storia i segni della divina Provvidenza all’opera come pure i modi in cui l’immagine del Creatore presente nell’uomo è stata offesa e sfigurata. Questa riflessione riguarda uno dei principali settori in cui i cattolici possono seriamente prendere a cuore il richiamo loro rivolto da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente: «È giusto pertanto che, mentre il secondo Millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e dei suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo» (1). Il secolo attuale è stato testimone di un’indicibile tragedia, che non potrà mai essere dimenticata: il tentativo del regime nazista di sterminare il popolo ebraico, con la conseguente uccisione di milioni di ebrei. Uomini e donne, vecchi e giovani bambini ed infanti, solo perché di origine ebraica, furono perseguitati e deportati. Alcuni furono uccisi immediatamente, altri furono umiliati, maltrattati, torturati e privati completamente della loro dignità umana, e infine uccisi. Pochissimi di quanti furono internati nei campi di concentramento sopravvissero, e i superstiti rimasero terrorizzati per tutta la vita. Questa fu la Shoah: uno dei principali drammi della storia di questo secolo, un fatto che ci riguarda ancora oggi. Dinanzi a questo orribile genocidio, che i responsabili delle nazioni e le stesse comunità ebraiche trovarono difficile da credere nel momento in cui veniva perpetrato senza misericordia, nessuno può restare indifferente, meno di tutti la Chiesa, in ragione dei suoi legami strettissimi di parentela spirituale con il popolo ebraico e del ricordo che essa nutre delle ingiustizie del passato. La relazione della Chiesa con il popolo ebraico è diversa da quella che condivide con ogni altra religione (2). Non è soltanto questione di ritornare al passato. Il futuro comune di ebrei e cristiani esige che noi ricordiamo, perché «non c’è futuro senza memoria» (3). La storia stessa è memoria futuri Nel rivolgere questa riflessione ai nostri fratelli e sorelle della Chiesa cattolica sparsi nel mondo chiediamo a tutti i cristiani di unirsi a noi nel riflettere sulla catastrofe che colpì il popolo ebraico, e sull’imperativo morale di far sì che mai più l’egoismo e l’odio abbiano a crescere fino al punto da seminare sofferenze e morte (4). In modo particolare, chiediamo ai nostri amici ebrei, «il cui terribile destino è divenuto simbolo dell’aberrazione cui può giungere l’uomo, quando si volge contro Dio» (5), di predisporre il loro cuore ad ascoltarci.

II. Che cosa dobbiamo ricordare Nel dare la sua singolare testimonianza al Santo di Israele ed alla Torah, il popolo ebraico ha grandemente patito in diversi tempi ed in molti luoghi. Ma la Shoah fu certamente la sofferenza peggiore di tutte. L’inumanità con cui gli ebrei furono perseguitati e massacrati in questo secolo va oltre la capacità di espressione delle parole. E tutto questo fu fatto loro per la sola ragione che erano ebrei. La stessa enormità del crimine suscita molte domande. Storici, sociologi, filosofi politici, psicologi e teologi tentano di conoscere di più circa la realtà e le cause della Shoah. Molti studi specialistici rimangono ancora da compiere. Ma un simile evento non può essere pienamente misurato attraverso i soli criteri ordinali della ricerca storica. Esso richiama ad una «memoria morale e religiosa» e, in particolare tra i cristiani, ad una riflessione molto seria sulle cause che lo provocarono. Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo in Europa, cioè in paesi di lunga civilizzazione cristiana pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli ebrei.

III. Le relazioni tra ebrei e cristiani La storia delle relazioni tra ebrei e cristiani è una storia tormentata. Lo ha riconosciuto il Santo Padre Giovanni Paolo II nei suoi ripetuti appelli ai cattolici a considerare il nostro atteggiamento nei confronti delle nostre relazioni con il popolo ebraico (6). In effetti il bilancio di queste relazioni durante i due millenni è stato piuttosto negativo Agli albori del cristianesimo, dopo la crocifissione di Gesù, sorsero contrasti tra la Chiesa primitiva ed i capi dei giudei ed il popolo ebraico i quali, per ossequio alla Legge, a volte si opposero violentemente ai predicatori del Vangelo e ai primi cristiani. Nell’impero romano, che era pagano, gli ebrei erano legalmente protetti dai privilegi garantiti loro dall’Imperatore e le autorità in un primo tempo non fecero distinzione tra le comunità giudee e cristiane. Ben presto, tuttavia, i cristiani incorsero nella persecuzione dello Stato. Quando in seguito, gli imperatori stessi si convertirono ai cristianesimo, dapprima continuarono a garantire i privilegi degli ebrei. Ma gruppi esagitati di cristiani che assalivano i templi pagani, fecero in alcuni casi lo stesso nei confronti delle sinagoghe, non senza subire l’influsso di certe erronee interpretazioni del Nuovo Testamento concernenti il popolo ebraico nel suo insieme. «Nel mondo cristiano ” non dico da parte della Chiesa in quanto tale ” interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebraico e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo» (8). Tali interpretazioni del Nuovo Testamento sono state totalmente e definitivamente rigettate dal Concilio Vaticano II (9). Nonostante la predicazione cristiana dell’amore verso tutti, compresi gli stessi nemici, la mentalità prevalente lungo i secoli ha penalizzato le minoranze e quanti erano in qualche modo «differenti». Sentimenti di antigiudaismo in alcuni ambienti cristiani e la divergenza che esisteva tra la Chiesa ed il popolo ebraico, condussero a una discriminazione generalizzata che sfociava a volte in espulsioni o in tentativi di conversioni forzate. In una larga parte del mondo «cristiano», fino alla fine del XVIII secolo, quanti non erano cristiani non sempre godettero di uno status giuridico pienamente garantito. Nonostante ciò, gli ebrei diffusi in tutto il mondo cristiano rimasero fedeli alle loro tradizioni religiose ed ai costumi loro propri. Furono per questo considerati con un certo sospetto e diffidenza. In tempi di crisi come carestie, guerre e pestilenze o di tensioni sociali, la minoranza ebraica fu più volte presa come capro espiatorio, divenendo così vittima di violenze, saccheggi e persino di massacri. Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, gli ebrei avevano generalmente raggiunto una posizione di uguaglianza nei confronti degli altri cittadini nella maggioranza degli Stati, e un certo numero di loro giunse a ricoprire ruoli influenti nella società. Ma in questo stesso contesto storico, in particolare nel XIX secolo, prese piede un nazionalismo esasperato e falso. In un clima di rapido cambiamento sociale, gli ebrei furono spesso accusati di esercitare un’influenza sproporzionata rispetto al loro numero. Allora cominciò a diffondersi in vario grado, attraverso la maggior parte d’Europa, un antigiudaismo che era essenzialmente più sociopolitico che religioso. Nello stesso periodo, cominciarono ad apparire delle teorie che negavano l’unità della razza umana, affermando una originaria differenza delle razze. Nel XX secolo, il nazionalsocialismo in Germania usò tali idee come base pseudo-scientifica per una distinzione tra le così dette razze nordicoariane e presunte razze inferiori. Inoltre, una forma estremistica di nazionalismo fu stimolata in Germania dalla sconfitta del 1918 e dalle condizioni umilianti imposte dai vincitori, con la conseguenza che molti videro nel nazionalsocialismo una soluzione ai problemi del Paese e perciò cooperarono politicamente con questo movimento. La Chiesa in Germania rispose condannando il razzismo. Tale condanna apparve per la prima volta nella predicazione di alcuni tra il clero, nell’insegnamento pubblico dei Vescovi cattolici e negli scritti di giornalisti cattolici. Già nel febbraio e marzo 1931, il Cardinale Bertram di Breslavia, il Cardinale Faulhaber ed i Vescovi della Baviera, i Vescovi della Provincia di Colonia e quelli della provincia di Friburgo pubblicarono lettere pastorali che condannavano il nazionalsocialismo, con la sua idolatria della razza e dello Stato (10). L’anno stesso in cui il nazionalsocialismo giunse al potere, il 1933, i ben noti sermoni d’Avvento del Cardinale Faulhaber, ai quali assistettero non soltanto cattolici, ma anche protestanti ed ebrei, ebbero espressioni di chiaro ripudio della propaganda nazista antisemitica (11). A seguito della Kristallnacht, Bernard Lichtenberg, prevosto della Cattedrale di Berlino, elevò pubbliche preghiere per gli ebrei. Egli morì poi a Dachau ed è stato dichiarato Beato. Anche il Papa Pio XI condannò il razzismo nazista in modo solenne nell’Enciclica Mit brennender Sorge (12), che fu letta nelle chiese di Germania nella Domenica di Passione del 1937, iniziativa che procurò attacchi e sanzioni contro membri del clero. Il 6 settembre 1938, rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini belgi, Pio XI asserì: «L’antisemitismo è inaccettabile. Spiritualmente siamo tutti semiti» (13) . Pio XII, fin dalla sua prima enciclica, Summi Ponificatus (14), del 20 ottobre 1939, mise in guardia contro le teorie che negavano l’unità della razza umana e contro la deificazione dello Stato, tutte cose che egli prevedeva avrebbero condotto ad una vera «ora delle tenebre» (15). IV. Antisemitismo nazista e la Shoah Non si può ignorare la differenza che esiste tra l’antisemitismo basato su teorie contrarie al costante insegnamento della Chiesa circa l’unità del genere umano e l’uguale dignità di tutte le razze e di tutti i popoli, ed i sentimenti di sospetto e di ostilità perduranti da secoli che chiamiamo antigiudaismo, dei quali, purtroppo, anche dei cristiani sono stati colpevoli. L’ideologia nazionalsocialista andò anche oltre nel senso che rifiutò di riconoscere qualsiasi realtà trascendente quale fonte della vita e criterio del bene morale. Di conseguenza, un gruppo umano, e lo Stato con il quale esso si era identificato si arrogò un valore assoluto e decise di cancellare l’esistenza stessa del popolo ebraico, popolo chiamato a rendere testimonianza all’unico Dio e alla Legge dell’Alleanza. A livello teologico non possiamo ignorare il fatto che non pochi aderenti al partito nazista non solo mostrarono avversione allíidea di una divina Provvidenza all’opera nelle vicende umane, ma diedero pure prova di un preciso odio nei confronti di Dio stesso. Logicamente, un simile atteggiamento condusse pure al rigetto del cristianesimo, e al desiderio di vedere distrutta la Chiesa o per lo meno sottomessa agli interessi dello Stato nazista. Fu questa ideologia estrema che divenne la base delle misure intraprese, prima per sradicare gli ebrei dalle loro case e poi per sterminarli. La Shoah fu l’opera di un tipico regime moderno neopagano. Il suo antisemitismo aveva le proprie radici fuori del cristianesimo e, nel perseguire i propri scopi, non esitò ad opporsi alla Chiesa perseguitandone pure i membri. Ma ci si deve chiedere se la persecuzione del nazismo nei confronti degli ebrei non sia stata facilitata dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani. Il sentimento antigiudaico rese forse i cristiani meno sensibili, o perfino indifferenti, alle persecuzioni lanciate contro gli ebrei dal nazionalsocialismo quando raggiunse il potere? Ogni risposta a questa domanda deve tener conto del fatto che stiamo trattando della storia di atteggiamenti e modi di pensare di gente soggetta a molteplici influenze. Ancor più, molti furono totalmente ignari della «soluzione finale» che stava per essere presa contro un intero popolo; altri ebbero paura per se stessi e per i loro cari; alcuni trassero vantaggio dalla situazione; altri infine furono mossi dall’invidia. Una risposta va data caso per caso e, per farlo, è necessario conoscere ciò che precisamente motivò le persone in una specifica situazione. All’inizio, i capi del Terzo Reich cercarono di espellere gli ebrei. Sfortunatamente, i Governi di alcuni Paesi occidentali di tradizione cristiana inclusi alcuni del Nord e Sud America, furono piú che esitanti ad aprire i loro confini agli ebrei perseguitati. Anche se non potevano prevedere quanto lontano sarebbero andati i gerarchi nazisti nelle loro intenzioni criminali i capi di tali nazioni erano a conoscenza delle difficoltà e dei pericoli a cui erano esposti gli ebrei che vivevano nei territori del Terzo Reich. In quelle circostanze, la chiusura delle frontiere allíimmigrazione ebraica, sia che fosse dovuta all’ostilità antigiudaica o al sospetto antigiudaico, a codardia o limitazione di visione politica o a egoismo nazionale, costituisce un grave peso di coscienza per le autorità in questione. Nelle terre dove il nazismo intraprese la deportazione di massa, la brutalità che accompagnò questi movimenti forzati di gente inerme, avrebbe dovuto suscitare il sospetto del peggio. I cristiani offrirono ogni possibile assistenza ai perseguitati, e in particolare agli ebrei? Molti lo fecero, ma altri no. Coloro che aiutarono a salvare quanti più ebrei fu loro possibile sino al punto di mettere le loro vite in pericolo mortale, non devono essere dimenticati. Durante e dopo la guerra, comunità e personalità ebraiche espressero la loro gratitudine per quanto era stato fatto per loro, compreso anche ciò che Pio XII aveva fatto personalmente o attraverso suoi rappresentanti per salvare centinaia di migliaia di vite di ebrei (16). Molti Vescovi, preti, religiosi e laici, sono stati per tale ragione onorati dallo Stato di Israele. Nonostante ciò, come Papa Giovanni Paolo II ha riconosciuto accanto a tali coraggiosi uomini e donne, la resistenza spirituale e l’azione concreta di altri cristiani non fu quella che ci si sarebbe potuto aspettare da discepoli di Cristo. Non possiamo conoscere quanti cristiani in paesi occupati o governati dalle potenze naziste o dai loro alleati, constatarono con orrore la scomparsa dei loro vicini ebrei, ma non furono tuttavia forti abbastanza per alzare le loro voci di protesta. Per i cristiani questo grave peso di coscienza di loro fratelli e sorelle durante l’ultima guerra mondiale deve essere un richiamo al pentimento (17). Deploriamo profondamente gli errori e le colpe di questi figli e figlie della Chiesa. Facciamo nostro ciò che disse il Concilio Vaticano II con la Dichiarazione Nostra aetate, che inequivocabilmente afferma: «La Chiesa… memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» (18). Ricordiamo e facciamo nostro quanto Papa Giovanni Paolo II nel rivolgersi ai capi della comunità ebraica di Strasburgo nel 1988 affermò: «Ribadisco nuovamente insieme con voi la più ferma condanna di ogni antisemitismo e di ogni razzismo, che si oppongono ai principi del cristianesimo» (19). La Chiesa cattolica, pertanto, ripudia ogni persecuzione, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo, perpetrata contro un popolo o un gruppo umano. Essa condanna nel modo più fermo tutte le forme di genocidio come pure le ideologie razziste che l’hanno reso possibile. Volgendo lo sguardo su questo secolo, siamo profondamente addolorati per la violenza che ha colpito gruppi interi di popoli e di nazioni. Ricordiamo in modo particolare il massacro degli armeni, le vittime innumerevoli nell’Ucraina degli anni ’30, il genocidio degli zingari, frutto anch’esso di idee razziste, e tragedie simili accadute in America in Africa e nei Balcani. Né vogliamo dimenticare i milioni di vittime dell’ideologia totalitaria nell’Unione Sovietica, in Cina, in Cambogia ed altrove. Neppure possiamo dimenticare il dramma del Medio Oriente, i cui termini sono ben noti. Anche mentre noi facciamo la presente riflessione, «troppi uomini continuano ad essere vittime dei propri fratelli» (20). V. Guardando insieme ad un futuro comune Guardando al futuro delle relazioni tra ebrei e cristiani in primo luogo chiediamo ai nostri fratelli e sorelle cattolici di rinnovare la consapevolezza delle radici ebraiche della loro fede. Chiediamo loro di ricordare che Gesù era un discendente di Davide, che dal popolo ebraico nacquero la Vergine Maria e gli Apostoli, che la Chiesa trae sostentamento dalle radici di quel buon ulivo a cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico dei gentili (cfr Rm 11 17-24), che gli ebrei sono nostri cari ed amati fratelli, e che, in un certo senso, sono veramente i «nostri fratelli maggiori» (21). Al termine di questo Millennio la Chiesa cattolica desidera esprimere il suo profondo rammarico per le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca. Si tratta di un atto di pentimento (teshuva): come membri della Chiesa, condividiamo infatti sia i peccati che i meriti di tutti i suoi figli. La Chiesa si accosta con profondo rispetto e grande compassione all’esperienza dello sterminio, la Shoah, sofferta dal popolo ebraico durante la seconda Guerra Mondiale. Non si tratta di semplici parole, bensì di un impegno vincolante. «Rischieremmo di far morire nuovamente le vittime delle più atroci morti, se non avessimo la passione della giustizia e se non ci impegnassimo, ciascuno secondo le proprie capacità, a far sì che il male non prevalga sul bene come è accaduto nei confronti di milioni di figli dei popolo ebraico… L’umanità non può permettere che ciò accada di nuovo» (22). Preghiamo che il nostro dolore per le tragedie che il popolo ebraico ha sofferto nel nostro secolo conduca a nuove relazioni con il popolo ebraico. Desideriamo trasformare la consapevolezza dei peccati del passato in fermo impegno per un nuovo futuro nel quale non ci sia più sentimento antigiudaico tra i cristiani e sentimento anticristiano tra gli ebrei, ma piuttosto un rispetto reciproco condiviso, come conviene a coloro che adorano l’unico Creatore e Signore ed hanno un comune padre nella fede, Abramo. Infine, invitiamo gli uomini e le donne di buona volontà a riflettere profondamente sul significato della Shoah. Le vittime dalle loro tombe, e i sopravvissuti attraverso la vivida testimonianza di quanto hanno sofferto, sono diventati un forte grido che richiama l’attenzione di tutta l’umanità. Ricordare questo terribile dramma significa prendere piena coscienza del salutare monito che esso comporta: ai semi infetti dell’antigiudaismo e dellíantisemitismo non si deve mai più consentire di mettere radice nel cuore dell’uomo.

16 Marzo 1998.
Cardinale Edward Idris Cassidy Presidente
Pierre Duprey Vescovo tit. di Thibaris Vice-Presidente
Remi Hoeckman, O.P. Segretario


NOTE

(l) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio Millennio adveniente (10 novembre 1994), 33: AAS 87 (1995), 25.

(2) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell’incontro con la comunità ebraica della città di Roma (13 aprile 1986), 4: AAS 78 (1986), 1 120.

(3) Giovanni Paolo II, Angelus dell’11 giugno 1995: Insegnamenti 18/1, 1995, 1712.

(4) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità ebraica di Budapest (18 agosto 1991), 4 Insegnamenti 14/2, 1991, 349.

(5) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (I maggio 1991), 17: AAS 83 (1991), 814-815.

(6) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso ai Delegati delle Conferenze Episcopali per i rapporti con l’Ebraismo (6 marzo 1982): Insegnamenti 5/1, 1982, 743-747 ( Cfr Commissione della Santa Sede per le Relazioni religiose con gli ebrei, Note sul corretto modo di presentare gli ebrei e l’ebraismo nella predicazione e nella catechesi nella Chiesa cattolica romana (24 giugno 1985) VI, 1: Ench. Vat. 9, 1656.

(8) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’incontro di studio su «Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano» (31 Ottobre 1997), 1: L’Osservatore Romano, 1 novembre 1997, p. 6.

(9) Cfr Nostra aetate,4

(10) Cfr B. Statiewski (Ed.), Akten deutscher Bischöfe über die Lage der Kirche,1933-1945, vol. I, 1933-1934 (Mainz 1968), Appendix.

(11) Cfr L. Volk, Der Bayerische Episkopat und der Nationalsozialismus 1930-1934 (Mainz 1966), pp. 170-174.

(12) Del 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), 145-167.

(13) La Documentation Catholique, 29 (1938), col. 1460.

(14) AAS 31 (1939), 413-453.

(15) Ibid., 449.

(16) Organizzazioni e personalità ebraiche rappresentative riconobbero varie volte ufficialmente la saggezza della diplomazia di Papa Pio XII. Ad esempio, il giovedì 7 settembre 1945 Giuseppe Nathan, Commissario dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, dichiarò: «Per primo rivolgiamo un reverente omaggio di riconoscenza al Sommo Pontefice, ai religiosi e alle religiose che attuando le direttive del Santo Padre, non hanno veduto nei perseguitati che dei fratelli, e con slancio e abnegazione hanno prestato la loro opera intelligente e fattiva per soccorrerci, noncuranti dei gravissimi pericoli ai quali si esponevano» (L’Osservatore Romano, 8 settembre 1945 p. 2). Il 21 settembre dello stesso anno, Pio XII ricevette il Dott. A. Leo Kubowitzki, Segretario Generale del World Jewish Congress, recatosi in Udienza per presentare «al Santo Padre, a nome della Unione delle Comunità Israelitiche, i più sentiti ringraziamenti per l’opera svolta dalla Chiesa Cattolica a favore della popolazione ebraica in tutta l’Europa durante la guerra» (L’Osservatore Romano, 23 settembre 1945, p. 1). Il giovedì 29 novembre 1945 il Papa ricevette circa 80 delegati di profughi ebrei, provenienti dai campi di concentramento in Germania, giunti a manifestargli «il sommo onore di poter ringraziare personalmente il Santo Padre per la sua generosità dimostrata verso di loro, perseguitati durante il terribile periodo di nazifascismo» (L’Osservatore Romano, 30 novembre 1945, p. 1). Nel 1958, alla morte di Papa Pio XII, Golda Meir inviò un eloquente messaggio: «Condividiamo il dolore dell’umanità… Quando il terribile martirio si abbatté sul nostro popolo, la voce del Papa si elevò per le sue vittime. La vita del nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali al di sopra del tumulto del conflitto quotidiano. Piangiamo un grande servitore della pace».

(17) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso al nuovo Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania (8 novembre 1990), 2: AAS 83 (1991), 587-588.

(18) N. 4.

(19) N. 8: Insegnamenti 11/3, 1988, 1134.

(20) Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Corpo diplomatico (15 gennaio 1994), 9: AAS 86 (1994), 816.

(21) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell’incontro con la comunità ebraica della città di Roma (13 aprile 1986), 4: AAS 78 (1986), 1 120.

(22) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della commemorazione dell’Olocausto (7 aprile 1994), 3: Insegnamenti 17/1, 1994, 897 e 893.