Sergio Fasolini, Il pettirosso, 40×60, Olio su Tela

Lagerlöf Selma, La leggenda del Pettirosso

La leggenda del Pettirosso credo sia uno dei più lontani ricordi della mia infanzia. Risaliamo addirittura all’asilo, dunque tra i tre e i cinque anni… quando nei giardini pubblici brucavano indisturbati simpatici dinosauri 🙂
Faceva parte di quei racconti edificanti che le maestre ci narravano e visto l’argomento si trattava sicuramente del periodo di quaresima antecedente la Pasqua. Non so se se ne trovi traccia nei Vangeli apocrifi (se qualcuno/a ne ha notizia certa mi indichi le fonti e ne farò tesoro) . La storia che propongo (molto elaborata rispetto a quella comunemente conosciuta) è narrata da una penna, quella di Selma Lagerlöf External link, di approvata capacità espressiva, cui hanno riconosciuto il nobel per la letteratura nel 1909 External link.

La leggenda del Pettirosso

Era in quel tempo, quando Nostro Signore creò il mondo, quando creò non soltanto il cielo e la terra, ma anche tutti gli animali e le piante, e in pari tempo distribuì i nomi. Esistono molte storie di quel tempo, e se si sapessero tutte avremmo anche la spiegazione di tutte le cose del mondo che ora non si possono comprendere.
Fu allora che un giorno, mentre Nostro Signore stava a sedere in Paradiso a dipingere gli uccelli, venne a mancare il colore sulla tavolozza, così che il picchio sarebbe rimasto senza colore se Egli non avesse ripulito tutti i pennelli sulle sue penne.
E fu allora che l’asino acquistò le sue orecchie lunghe, perché non si ricordava il nome che aveva ricevuto. Lo dimenticò appena ebbe fatto alcuni passi sui prati del Paradiso e tornò indietro tre volte a domandare come si chiamava, finché Nostro Signore s’impazientì un pochino e prendendolo per le orecchie disse:
«Il tuo nome è asino, asino, asino».
E nel dirlo gli allungò le orecchie perché gli venisse l’udito migliore e ricordasse quello che gli si diceva.
Fu nello stesso giorno che l’ape fu punita. Perché appena fu creata incominciò a raccogliere miele, e gli animali e gli uomini, che si accorsero del dolce profumo del miele, vennero ad assaggiarlo. Ma l’ape voleva conservare tutto per sé e con le sue punture velenose scacciava tutti quelli che si avvicinavano all’alveare. Nostro Signore vide e chiamò a sé l’ape e la punì.
«Io ti ho dato la facoltà di raccogliere il miele che è ciò che la creazione ha di più dolce,»
disse Nostro Signore
«ma non per questo ti ho dato il diritto d’essere cattiva col tuo prossimo. E ora ricordati: ogni volta che pungerai qualcuno che vorrà assaggiare il tuo miele, tu morrai!»
Già, fu allora che il grillo divenne cieco e la formica perse le sue ali; accaddero tante cose straordinarie in quel giorno.
Nostro Signore, grande e mite, era seduto tutto il giorno a creare e a formare, e verso sera gli venne in mente di creare un piccolo uccello grigio.
«Ricordati che il tuo nome è pettirosso!»
disse Nostro Signore all’uccello quando fu pronto. Lo depose sulla palma della sua mano e lo fece volare.
Ma dopo che l’uccello ebbe fatto un piccolo volo ed ebbe ammirato la bella terra sulla quale doveva vivere, gli venne voglia di mirarsi. Allora vide che era tutto grigio, il petto come tutto il resto. Il pettirosso si voltò e rivoltò rispecchiandosi nell’acqua, ma non poté scoprire neppure una penna rossa. E così l’ uccello rivolò da Nostro Signore.
Egli, grande e mite, era a sedere, e dalle sue mani uscivano farfalle che svolazzavano intorno alla sua testa, piccioni garrivano sulle sue spalle, e dalla terra intorno a lui sorgevano rose, gigli e pratoline.
Il cuore dell’uccellino batteva per il timore, ma descrivendo leggeri giri volava sempre più vicino a Nostro Signore e finalmente si lasciò cadere sulla sua mano.
Così Nostro Signore gli domandò quello che desiderava.
«Io voglio soltanto chiederti una cosa» disse l’uccellino.
«Cos’è che desideri sapere?» disse, Nostro Signore.
«Perché debbo chiamarmi pettirosso, mentre son tutto grigio dalla punta del becco sino alla coda? Perché mi chiamo pettirosso quando non posseggo neppure una penna rossa?»
E l’uccello con i suoi occhiettini neri lo guardò implorando e voltò la testolina. Da per tutto, attorno, vide fagiani tutti rossi sotto un leggero pulviscolo d’oro, pappagalli con ricchi collari rossi, galli con creste rosse, senza parlare delle farfalle, dei pesciolini rossi e delle rose. E naturalmente pensò che occorreva così poco, una sola goccia di colore rosso sul suo petto, per farlo diventare un bell’uccello, a cui il suo nome sarebbe stato adatto.
«Perché debbo chiamarmi pettirosso, se son tutto grigio?»
domandò di nuovo l’uccello, e aspettò che Nostro Signore gli dicesse:
«Ah, amico mio, vedo che ho dimenticato di dipingere in rosso le penne del tuo petto, ma aspetta solamente un momento e sarà fatto».
Ma Egli sorrise soltanto e disse:
«Ti ho chiamato pettirosso, e pettirosso ti chiamerai, ma cercati da te il mezzo di meritarti le tue penne rosse».
E così Nostro Signore alzò la mano e lasciò che l’uccello rivolasse per il mondo.
L’uccello volò in Paradiso con molti pensieri. Che cosa poteva fare un uccellino come lui per procurarsi delle penne rosse?
L’unica cosa che gli venisse in mente fu di fabbricarsi il nido in mezzo ai prunai. Egli s’annidò fra le spine nel folto della macchia. Pareva stesse aspettando che una foglia di rosa gli si attaccasse al petto e gli desse il suo colore. Un numero infinito d’anni erano trascorsi da quel giorno che fu il più bello sulla terra. D’allora in poi gli animali e gli uomini avevano abbandonato il Paradiso e si erano sparsi sulla terra. E gli uomini erano giunti al punto d’imparare a lavorare la terra e a navigare sul mare, si erano fatti abiti e utensili; da molto tempo avevano già imparato a fabbricare grandi templi e città potenti, come Tebe, Roma e Gerusalemme.
Spuntò un giorno nuovo che non doveva esser mai più dimenticato nella storia del mondo e all’alba di quel giorno il pettirosso era posato su un piccolo colle nudo fuori le mura di Gerusalemme e cantava per i suoi piccini che si trovavano nel piccolo nido in mezzo ai bassi cespugli di spine.
L’uccello raccontava ai suoi nati il giorno meraviglioso della creazione e la distribuzione dei nomi: così aveva raccontato ogni pettirosso dal primo in poi, che aveva udito la parola di Dio ed era uscito dalla Sua mano.
«E ora vedete,»
concluse tristemente il pettirosso
«tanti anni sono passati, tante rose sono sbocciate, tanti piccoli uccelli sono sgusciati dalle uova dal giorno della creazione in poi, che non c’è nessuno capace di contarli, ma il pettirosso è ancora un uccellino grigio. Ancora non è riuscito a conquistarsi le penne rosse.».
I piccini spalancarono i piccoli becchi e domandarono se gli antenati non avevano cercato di compiere qual­che grande opera per conquistare il prezioso colore.
«Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto,»
disse l’uccellino
«ma siamo stati tutti sfortunati. Già il primo petti­rosso, una volta, incontrò un altro uccello che gli rassomigliava completamente, e subito si mise ad amarlo con un amore così violento da sentirsi arroventare il petto. Ah, pensò allora, adesso comprendo. Nostro Signore vuole che io ami con tale ardore, che le penne del mio petto abbiano a tingersi di rosso per il caldo d’amore che ho nel cuore. Ma egli s’ingannava, così come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui e come c’inganneremo anche noi.»
I piccini cinguettarono tristemente, incominciavano già ad affliggersi perché la tinta rossa non avrebbe adornato i loro piccoli petti coperti di peluria.
«Abbiamo anche sperato nel nostro canto»
disse l’uccello vecchio parlando con toni prolungati.
«Già il primo pettirosso cantava così; il petto dall’entusiasmo gli si gonfiava, ed egli ritornava a sperare. Ah, pensava, la fiamma del canto che ho nell’anima, tingerà di rosso le penne del mio petto. Ma s’in­gannava, come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui, come c’inganneremo anche noi.»
Si sentì di nuovo un triste cinguettio uscir dalle gole mezze nude dei piccini.
«Abbiamo anche sperato nel nostro coraggio e valore» disse l’uccello.
«Già il primo pettirosso si batté valorosamente con gli altri uccelli e il suo petto s’infiammò dal piacere di combattere. Ah, pensò, le penne del mio petto si tingeranno di rosso per la gioia della lotta che arde nel mio cuore. Ma s’ingannò, come si sono ingannati dopo di lui tutti gli altri, come c’inganneremo anche noi.»
I piccini cinguettarono coraggiosamente che volevano ancora tentare di conquistare il premio tanto ambito, ma l’uccello rispose tristemente che era impossibile. Che cosa potevano sperare quando tanti antenati così bravi non erano riusciti a raggiungere la meta? Potevano fare di più che amare, cantare e lottare? Che cosa potevano…
L’uccello si fermò in mezzo alla frase, perché da una delle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la folla si dirigeva verso il colle dove l’uccello aveva il suo nido. C’erano dei cavalieri su destrieri superbi, servi con lunghe lance, assistenti del boia con chiodi e martelli, v’erano sacerdoti dall’incedere dignitoso, e giudici, donne piangenti, e davanti a tutti una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento orrendo, ululante di vagabondi. L’uccellino tremando stava sull’orlo del suo nido. Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi.
«State in guardia,»
gridò ai piccini inermi
«state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi! Ecco un guerriero coi sandali ferrati! Ecco tutta la folla selvaggia!»
Ad un tratto l’uccello smise di gettare i suoi gridi d’allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante.  Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le ali sopra ai piccini.
«No, è troppo tremendo»
disse.
«Io non voglio che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono crocifissi.»
E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e gli urli selvaggi della folla. Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con gli occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre infelici.
«Come gli uomini sono crudeli!»
disse l’uccello dopo un momento
«non si accontentano d’inchiodare quei poveretti sulle croci, no, sulla testa di uno hanno anche posto una corona di spine. Io vedo che le spine hanno ferito la sua fronte così da fare scorrere il sangue»
continuò.
«E quell’uomo è così bello e si guarda attorno con sguardi così dolci che ognuno deve sentire d’amarlo. Mi pare che una freccia mi stia trafiggendo il cuore nel vederlo soffrire.»
Il piccolo uccello sentiva crescere la sua compassione per l’incoronato di spine.
«Se io fossi mia sorella l’aquila,»
pensò
«strapperei i chiodi dalle sue mani e con i miei forti artigli scaccerei tutti coloro che lo fanno soffrire.»
Egli vide il sangue gocciolare sulla fronte del Crocifisso e non poté stare fermo nel suo nido.
«Benché non sia che piccolo e debole, pure debbo poter fare qualche cosa per questo povero martoriato»
pensò l’uccello: e allargò le ali e volò via per l’aria, descrivendo larghi giri intorno al Crocifisso. Gli volò intorno parecchie volte senza ardire d’avvicinarsi, perché era un uccellino timido, che non aveva mai osato avvicinarsi ad un uomo. Ma un po’ per volta si fece coraggio, volò molto vicino e col becco tolse una spina che si era piantata nella fronte del Crocifisso. In quel momento una goccia di sangue del Crocifisso cadde sul petto dell’uccello. Si allargò rapidamente, colò giù e tinse tutte le pennine delicate del petto. Ma il Crocifisso aperse le labbra e sussurrò all’uccello:
«Per la tua pietà ora avrai quello che la tua razza ha desiderato sempre da quando fu creato il mondo».
Poco dopo, quando l’uccello ritornò al suo nido, i piccini gridarono:
«Il tuo petto è rosso, le penne del tuo petto sono più rosse delle rose!»
«Non è che una goccia di sangue della fronte di quel pover’uomo»
disse l’uccello.
«Scomparirà, appena farò il bagno in un ruscello o in una limpida sorgente.»
Ma quando l’uccellino fece il bagno la macchia rossa non scomparve dal suo petto, e quando i suoi piccini divennero grandi, la tinta rossa splendeva anche sulle penne dei loro petti, come d’allora in poi splende sul petto e sulla gola di ogni pettirosso.

Selma Lagerlof.

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