Camus Albert, La peste

ALBERT CAMUSLa peste è un romanzo dello scrittore di origine algerine Albert Camus premio Nobel per la letteratura nel 1957 External link. Il brano che riporto di seguito è un dialogo tra il dottor Rieux, che si definisce non credente, e il sacerdote padre Paneloux. Mi ha colpito la frase finale:

 «Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli». Rieux trattenne la mano di Paneloux. «Lei vede», disse evitando di guardarlo, «Dio stesso ora non ci può separare».

Sembra quasi che Camus crei un legame, un ponte, tra ateismo sincero, pensare autentico, ricerca vera e fede sincera, genuina, credibile. Questo ponte si chiama, oltre ogni vana retorica, amore. Vengono subito alla mente le parole della Prima lettera di Giovanni: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.” 1 Gv 4,19-21 External link


Il Trionfo della Morte (1562) di Pieter Bruegel il Vecchio
Il Trionfo della Morte (1562) di Pieter Bruegel il Vecchio

«Bisogna che me ne vada», disse Rieux. «Non posso più sopportarli».
Ma improvvisamente gli altri malati tacquero; il dottore riconobbe allora che il grido del ragazzo s’era indebolito, che scemava ancora e
che stava per finire. Intorno a lui i lamenti riprendevano, ma sordamente, e come un’eco lontana della lotta appena conclusa. Si era conclusa infatti. Castel era passato dall’altra parte del letto, e disse ch’era finita. Con la bocca aperta, ma muta, il ragazzo riposava nella buca delle coperte in disordine, rimpiccolito di colpo, con resti di lacrime sul viso. Avvicinatosi al letto, Paneloux fece i gesti della benedizione. Poi raccolse la sua roba e uscì dal corridoio centrale. «Bisogna ricominciare tutto?» domandò Tarrou a Castel. Il vecchio dottore scuoteva la testa.
«Forse» disse con un sorriso contratto. «Dopo tutto ha resistito più a lungo». Ma Rieux lasciava ormai la sala, con un passo sì precipitoso e con una tale aria, che quando oltrepassò Paneloux, questi tese un braccio per trattenerlo. «Andiamo, dottore», gli disse. Con lo stesso agitato trasporto, Rieux, voltandosi, gli buttò con violenza: «Questo qui, almeno, era innocente, lei lo sa bene!» Poi si voltò e passando le porte della sala prima di Paneloux, raggiunse il fondo del cortile scolastico. Sedette s’una panca, tra gli alberelli polverosi, e si asciugò il sudore che ormai gli colava negli occhi. Aveva voglia di gridare ancora, per sciogliere, infine, il nodo violento che gli ingombrava il cuore. Il caldo pioveva lentamente tra i rami delle agavi; il cielo azzurro della mattina si copriva rapidamente d’una coltre biancastra che rendeva l’aria più soffocante. Rieux si lasciò andare sulla panca; guardava i rami, il cielo, ritrovando a poco a poco il respiro, eliminando a poco a poco la stanchezza. «Perché avermi parlato con tanta collera?» disse una voce dietro di lui. «Anche per me, lo spettacolo era insopportabile». Rieux si voltò verso Paneloux: «E’ vero», disse, «mi scusi. Ma la stanchezza fa impazzire. Ci sono ore, in questa città, che non sento se non la mia rivolta». «Capisco», mormorò Paneloux. «E’ rivoltante in quanto supera la nostra misura. Ma forse dobbiamo amare quello che non possiamo capire». Rieux si alzò di scatto; guardava Paneloux con tutta la forza e la passione di cui era capace, e scuoteva la testa. «No, Padre», disse, «io mi faccio un’altra idea dell’amore; e mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati». Sul viso di Paneloux passò un’ombra di turbamento.
«Dottore», fece con tristezza, «ora ho capito quello che chiamano la grazia». Ma Rieux si era di nuovo lasciato andare sulla panca. Dal fondo della sua ritornata stanchezza, rispose più dolcemente: «E’ quello che non ho, lo so bene. Ma non voglio discuterne con lei. Noi lavoriamo insieme per qualcosa che riunisce oltre le bestemmie e le preghiere. Questo solo è importante», Paneloux sedette vicino a Rieux, aveva un’aria commossa. «Sì», disse, «sì, anche lei lavora per la salvezza dell’uomo». Rieux tentava di sorridere. «La salvezza dell’uomo è  un’espressione troppo grande per me. Io non vado sì lontano. La sua salute m’interessa, prima di tutto la sua salute». Paneloux esitò. «Dottore», disse. Ma si fermò, anche sulla sua fronte cominciava a scorrere il sudore. Mormorò «arrivederci», e gli occhi gli brillarono, mentre si alzava.
Stava per allontanarsi, quando Rieux, ch’era pensieroso, si alzò e con un passo lo raggiunse. «Mi scusi ancora», disse, «il mio scatto non si ripeterà». Paneloux gli tese la mano dicendo con tristezza: «E tuttavia non sono riuscito a persuaderla!» «Che importa?» disse Rieux. «Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli». Rieux trattenne la mano di Paneloux.
«Lei vede», disse evitando di guardarlo, «Dio stesso ora non ci può separare».


 Approfondimenti

Commenti

“La peste” diventa ogni giorno un romanzo di più forza simbolica, ritratto, aperto a un futuro di speranza, di una società che deve imparare a reagire al morbo, della paura, dell’indifferenza, della violenza e dell’egoismo, che la sta mortalmente infettando. Il mondo di Camus, a oltre mezzo secolo di distanza, ci coinvolge con la sua verità e ci parla del nostro tempo in maniera impressionante.
Paolo Petroni External link


 

L’antichissima domanda sul significato del male (inconciliabile con la presenza di un Dio giusto e buono) viene riformulata in termini laici e si risolve nella constatazione lucida e senza speranza dell’ineluttabilità del male e della sua insensata gratuità.
L’unica salvezza dalla disperazione può essere nella solidarietà fra gli uomini; l’unica rivolta possibile, il rifiuto di portare altro male nel mondo. Gran parte del romanzo è dedicata alle conversazioni tra i personaggi, che si confrontano incessantemente, senza risposta, con la presenza del dolore: ogni giorno essi vedono agonia e morte, ma nessuno, nemmeno il sacerdote Paneloux (uno dei personaggi principali), riesce a trovare una giustificazione accettabile alla ragione umana.
L’unico sollievo all’angoscia è l’azione: tutti infatti entrano nelle formazioni sanitarie volute da Tarrou. il romanzo si chiude sotto il segno della testarda necessità di lottare da parte di quegli uomini che si rifiutano di ammettere i flagelli. Quando il romanzo uscì fu subito chiaro ai lettori che la peste era una metafora del nazismo: la lettura in chiave storica, autorizzata da Camus stesso, era confrontata dalle numerosi allusioni alla oppressione della dittatura e alla resistenza. La peste è metafora del male: dell’assurdità del dolore inflitto agli uomini, dell’insensatezza del loro esistere.”
prof. Gaudio Luigi External link


«La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza».
Norberto Bobbio, il 25 luglio 1990

«Il dolore non ci ferisce soltanto, ma anche stimola le nostre risorse spirituali più profonde per affrontarlo e viverlo all’altezza della drammatica dignità umana. Il ricordo e la permanente compagnia interiore di Sua moglie l’aiuteranno e Le daranno forza. Io che oso far conto su risorse non soltanto umane, quando la nostra vita si imbatte nei suoi limiti (non solo quelli temporali), e nei suoi più drammatici interrogativi, Le dico che prego Dio per Lei e per la cara Signora. Lo intenda almeno come intenzione di partecipazione profonda e affezionata, aperta sul mistero che ci circonda». Enrico Peyretti a Bobbio dopo la morte della moglie Valeria.


 

«La discriminante essenziale che divide gli uomini è quella che passa fra chi, nonostante tutto, crede alla loro dignità, si impegna per gli oppressi, lotta per dar voce e spazio alle speranze più profonde e vere di ogni uomo e chi, invece, non crede sia più possibile questa trasformazione e si consegna, arrendendosi, a quelle forze che tendono, per il loro dominio, a ignorare le diverse situazioni ed esigenze degli uomini. Inutile nascondersi che per il primo caso siamo di fronte a una ‘fede’ che accomuna credenti e non credenti in Dio».
Mario Cuminetti (1934-1995, libraio e scrittore, Milano)


 

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